Veniamo abituati fn dalla prima infanzia a distinguere "buoni" e "cattivi" applicando standard preconfezionati. Non è facile sospendere il giudizio per conferire dignità di oggetto di rifessione ai modi di pensare di chi a nostro avviso sbaglia. Siamo stati socializzati ad attribuire colpe, a pretendere di sapere chi siano i mostri, a inventarci nemici, attraverso semplificazioni. E’ forse possibile che l’attività criminale e i sistemi di pena rifettano i rapporti sociali? Come funziona una struttura carceraria e quali meccanismi, privazioni, rapporti di forza si svolgono al suo interno? Un viaggio dentro e attraverso le prigioni, una metafora della società e della condizione umana.
Il doloroso percorso di trasformazione da persona a numero, oggetto, cosa ingombrante. Lo stimato geometra Giuseppe si trova ad affrontare tutto questo in un labirinto kafkiano carcerario nel quale subisce una totale spersonalizzazione. "Quando entri in carcere – dice un detenuto - insieme alle tue impronte digitali lasci alla matricola anche la tua identità". Da quel momento sei solo un detenuto, uno dei tanti, uguale a tutti gli altri. La tua storia, i tuoi affetti, le tue difficoltà, le tue esigenze, le tue parole non trovano più ascolto. È forse per questo che l’autolesionismo è così diffuso. "Quando alzare la voce non serve più, si fa gridare il proprio corpo e finalmente si ottiene attenzione".
Girato nella Repubblica di Weimar, prima dell'ascesa del Nazismo, la pellicola affronta temi davvero scabrosi per l'epoca come il tradimento e l'omosessualità nelle carceri. Il suo titolo alternativo in lingua tedesca infatti, Geschlecht in Fesseln: Die Sexualnot der Gefangenen (Sesso in catene: ovvero il desiderio dei prigionieri nelle carceri) ne indica in maniera più incisiva questa seconda tematica sociologica, che viene ulteriormente rimarcata dalla comparsa nei titoli iniziali della pellicola che avverte di essersi ispirata alle opere di Franz Hallering e di Karl Plättner, in particolare di quest'ultimo sul libro Eros in prigione. (da wikipedia)
Un anno nel carcere femminile di Venezia alla Giudecca: la vita quotidiana nei corridoi e negli spazi comuni di questo ex-monastero affacciato sulla laguna.
Le celle sono aperte durante il giorno e chiuse solo la notte. Un piano, il "nido", è destinato alle carcerate con figli, che possono vivere con le madri fino ai tre anni. Detenute provenienti da tutta Italia, dai Balcani, dai Caraibi, dalla Nigeria e dai campi zingari, i loro bambini e le agenti penitenziarie vivono in una promiscuità senza tregua, destreggiandosi ciascuno a suo modo fra gerarchie, amicizie, giochi di ruolo e di potere.
Dalla lettera di un medico: "Leggere dei pestaggi e capire che non sono un'eventualità remota ed eccezionale, ma una realtà tanto grave quanto comune non richiede del resto una conoscenza approfondita: un'esperienza che non sia di solamente un paio di visite di mezz'ora all'interno di un'istituzione totale consente di capire immediatamente di cosa si sta parlando."
In merito ai recenti fatti accaduti ai danni di giovani reclusi, con questo film, tratto dal romanzo autobiografico di William Hayes, vogliamo riflettere sul tema della violenza in carcere.
Come in una vera tempesta, FilmStorming è uno spazio pensato per scompigliare le tematiche affrontate durante la rassegna cinematografica di BlobGiudecca appena conclusa. Video, reading, interviste, approfondimenti con studiosi dell'argomento permetteranno nuovi spunti di riflessione.
Video:
"Il carcere sotto i tre anni" girato da Luisa Betti nel carcere femminile di Rebibbia
"The Prison Industrial Complex" intervento di Angela Davis
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Intervista:
Alvise Sbraccia, docente di sociologia della devianza all'università di Bologna e membro dell'Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione parlerà con noi delle condizioni di detenzione in Italia, di carcerizzazione e decarcerizzazione.
Reading:
Lettere dal carcere - (non) vivere la sessualità
Violenza e sovraffollamento - diritti sconosciuti
Il caso Cucchi
Portate i vostri contenuti, vi aspettiamo.