ɃḺϴɃ Giudecca

Laboratorio Culturale Autogestito

 
Riflessioni sulla serata del 3 dicembre 2009

Profondo Veneto


Che la mente umana sia una incredibile, continua serie di complicazioni autoprodotte credo sia evidente a tutti, ancor di più se si pensa a come la tensione e l' emozione nel vedere visi placidi e gentili che sembrano pendere dalle tue labbra producano un incredibile effetto distruttivo sulla chiarezza espositiva che probabilmente davi per scontata.

Ebbene, visto che sento di non aver detto tutto ciò che avrei voluto in quel momento condividere con quelle persone cordiali e comprensive, ho deciso di farlo adesso. Con la giusta distanza, su "La giusta distanza", film dal titolo poliedrico e azzeccatissimo, che a volte esagera col tocco melenso, ma che nel complesso ci offre tantissimi spunti per analizzare il territorio in cui viviamo.

Il film racconta attraverso gli occhi di Giovanni, giovane aspirante giornalista, la relazione tra Assam, meccanico tunisino "integrato", e Mara, attraente maestra toscana "troppo bella per essere vecchia (ha trent' anni, ma è ancora carne fresca, vedere il film per capire, n.d.a.), e lo era in quel modo pericoloso in cui lo sono soltanto le donne venute da fuori".

Il tutto si svolge nell' immaginario paesino di Concadalbero, in Polesine, rappresentazione di quel contrasto tipicamente veneto che nasce dall' incontro scontro fra tradizione rurale e sviluppo industriale.

Nel nostro viaggio in celluloide, grazie al capolavoro di Pietro Germi "Signore e signori" ci siamo immersi nel contesto del boom economico e nelle vicende della media-alta borghesia trevigiana degli anni '60, per giungere poi alle generazioni figlie di quella congiuntura favorevole e cresciute in un altro "miracolo", quello dei DISTRETTI INDUSTRIALI. Questa espressione definisce quel processo verificatosi a partire dagli anni '80 e che, attraverso la nascita di 450.000 piccole medie imprese distribuite capillarmente in tutta la regione ha consentito una crescita economica della popolazione ineguagliabile, a cui però non è corrisposto un aumento del livello di istruzione altrettanto diffuso ed elevato.

Questa sviluppo smisurato e repentino ha anche reso necessario l' impiego di manodopera straniera a basso costo che ha costretto il veneto ad abituarsi alla controversa convivenza con l' ospite straniero, in apparenza tollerato con indifferenza o diffidenza, ma percepito in realtà come invasore ostile, l'"hostis" pericoloso che minaccia identità e cultura, da gettare via come una vecchia moto se si rompe o se smette di funzionare come si vorrebbe.

Così il film ci mostra una piccola comunità in apparenza solidale e bonaria, in cui però trionfano ipocrisia e soprattutto la passione per il denaro, che spinge a lavorare, produrre, consumare. Una società in cui la FABBRICA DEI DESIDERI è il meccanismo che suggerisce i MODELLI CULTURALI e fa decidere cosa volere, cosa comprare:il villino con giardino e nanetti accessori, l' auto sempre più nuova, la televisione magra e slanciata senza l'indesiderato culone catodico.

Mazzacurati dipinge una società che vorrebbe essere accogliente e generosa, ma che è in realtà chiusa, ostile e guardinga, in cui le distrazioni servono come antidoto al senso di vuoto e alle incertezze. Che il forestiero inconsapevole, in questo caso una "lei", prova a fatica a comprendere, "aiutata dalle delucidazioni ... di qualcuna di quelle menti semplici sempre ansiose di spiegare le complicazioni altrui."

I personaggi, stereotipati ma non troppo, o troppo poco, ci offrono un ottimo spunto per osservare la generazione individualista nata dal boom economico, arricchitasi troppo in fretta, noncurante dell' ambiente, che ama passeggiare con i suv e andare in vacanza nelle Sottomarina dell' Oceano Indiano, e che nasconde dinamiche distorte, aspirazioni represse, interesse morboso e l'insidia della pazzia sempre in agguato. Dove, per dirla con le parole di Mara, "non si è mai vista tanta solitudine."

Così, come se fossimo a bordo di un' automobile che viaggia a tutta velocità in quelle tangenziali padane tutte capannoni e centri commerciali, vediamo scorrerci davanti le caratteristiche dello stile di vita definito blasé.

Questo spaccato a tinte fosche del nordest operoso ci mostra come la piccola comunità in questione non accetti che nulla possa turbarne o scalfirne la rassicurante e anestetizzante ritualità e come cerchi di occultare le piaghe sociali che la caratterizzano ( problemi familiari, mercato del sesso a pagamento , lavoro nero e sfruttamento dell' immigrazione clandestina per dirne alcune).

Impossibile non notare come la questione del rapporto italiano-straniero compaia a più riprese, e come il razzismo sempre latente si rifletta nell' umanità sconfitta e nel meccanismo del capro espiatorio, che si dimostra storicamente la migliore strategia per dirottare paure e insicurezze verso finti responsabili.

 

Nota:Per le citazioni virgolettate e sottolineate si ringrazia la penna di Michela Murgia per aver dato vita al personaggio della maestra Luciana nel romanzo "Accabadora", ambientato nella Sardegna degli anni Cinquanta.

Qualcuno forse semplificherebbe dicendo che tutto il mondo è paese.

 
 
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